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WELCOME TO – un antipasto | Alessia Cincotto

16-18 luglio 2021

Nell’ambito di Capital Project a Colle Ameno, “WELCOME TO – un antipasto” è un embrione di progetto espositivo che riflette essenzialmente su quanto siano reali le “idilliache” scene che vengono vendute nei luoghi turistici, sotto forma di cartolina. Il souvenir ancora oggi regge il peso della memoria di un dato luogo, ma non può rappresentare i ricordi personali, spesso labili, di una persona: la verità non è così completa e nitida come viene confezionata dall’industria del ricordo. Questa selezione di lavori sottolinea il paradosso di un’immagine che assimiliamo come parte della nostra esperienza, ma che in realtà non è che una sovrastruttura indotta, una stampella per la memoria che può quindi scomparire. Potendo sempre contare su un appiglio visivo, l’immagine soppianta il vissuto finché quest’ultimo si cancella.

Il concetto di souvenir risale alla seconda metà del Settecento, durante l’età d’oro del Grand Tour – un viaggio nella cultura e nell’arte europea che i giovani nobili erano tenuti a compiere come esperienza formativa prima di inserirsi nel mondo del lavoro o dell’alta società. I souvenir erano quindi una sfarzosa testimonianza dei loro viaggi: reperti originali riportati in patria in modi più o meno legali, copie commissionate ad artigiani specializzati, stampe di vedute, ritratti commemorativi, falsi più o meno riconoscibili. I souvenir si facevano carico, loro malgrado, di elogiare una parte di vissuto del loro proprietario. Ma il fatto stesso che fossero pensati ad hoc li rendevano più una comodità mentale che un effettivo oggetto pregno di significati e ricordi personali.


Ciò è continuato e si è amplificato fino ai giorni nostri: gli shop convenientemente piazzati all’uscita di ogni museo, monumento e luogo di culto o cultura in giro per il mondo propongono esperienze ben impacchettate che non sono propriamente le nostre. Sono obiettive, generiche e prefabbricate – mentre l’esperienza e la memoria umana si dimostrano sempre soggettive, volubili, suscettibili di modifica. Anche le foto che realizziamo noi stessi sono figlie di questo affidamento compulsivo ad una fisicità che manca di rappresentare la nostra reale esperienza del luogo o dell’evento vissuto. A partire dai generici scatti del luogo come testimonianza della visita, passando per le foto in posa, fino allo sforzo di raggiungere il risultato più artistico possibile per avere una bella foto da appendere al muro. 


Quello che ne risulta è uno scaricamento di responsabilità della memoria e del ricordo su oggetti fisici, che riportano solo in modo superficiale quelle che originariamente erano state esperienze a 360 gradi, multisensoriali, emozionali e spesso sociali. Oramai l’immagine è diventata parte integrante in queste situazioni, e la loro creazione di per sé non rappresenta un apporto negativo al ricordo; tuttavia esse vengono appesantite da una funzione che non le concerne quando diventano sostituti dei nostri ricordi. Facendoci totale affidamento, la memoria umana può dolcemente svanire, non essendo più fondamentale uno sforzo attivo per mantenerla. Man mano si erode, si cancella, si perdono pezzi mentre la foto - usura del tempo permettendo - rimane sempre la stessa. 


L’intervento nei lavori esposti mira a rendere fisicamente visibile questa perdita. Grattando e scalzando la superficie delle cartoline, emerge il banale bianco del vuoto, del non più impresso, del cancellato. Diventa una reinterpretazione di anonime immagini di repertorio secondo una logica umana, e di conseguenza fallace: la maggior parte delle cose si dimenticano, restano solo i dettagli più interessanti e personali.  Oppure, spesso capita di non fare proprio esperienza della maggior parte del luogo che invece figura nelle cartoline. Cancellarne una parte mette in risalto il vissuto genuino; è dire la verità sulla propria esperienza come visitatore e come essere umano. Le opere riflettono quindi sull’affidamento che la memoria umana fa sulle immagini nel dover “mettere agli atti” un’esperienza – nel caso specifico, quello di una vacanza. I Souvenir onesti mirano a eliminare la bugia, per testimoniare la realtà dei fatti e degli eventi vissuti. La memoria, o meglio la mancanza di essa, ne è la conseguenza: l’affidare il peso di mantenere la testimonianza del luogo visitato ad un’immagine che lo inquadri fisicamente e idealmente è una comodità deleteria per la mente umana. Non avendo un punto di vista personale e un significato da mandare a memoria e richiamare, ogni immagine realizzata in questa maniera contribuisce alla perdita dell’effettiva esperienza del luogo.